domenica 7 giugno 2020

"DAYS GONE", OVVERO L'AMORE ALLA FINE DEL MONDO

Al di là degli aspetti tecnici, della grafica e del game play, Days Gone è, innanzitutto, una storia e come tale possiede un tema verso cui tutti gli eventi e le avventure che coinvolgono i protagonisti tendono a ritornare: l’amore

Il videogioco targato Bend Studio, infatti, non è da collocare soltanto nel genere horror o post apocalittico o, ancora, action, ma va molto più a fondo, regalando sì ore di divertimento e azione, ma esplorando anche, e soprattutto, la forza che, al mondo, tutto muove, ovvero l’amore. 


Quello raccontato in Days Gone, però, non è il solito amore a cui letteratura e cinema ci hanno abituato, fatto di buoni sentimenti e personaggi senza macchia. 

In questo senso, infatti, già il mondo videoludico in generale ha sempre provato a cambiare gli stereotipi, offrendo nuove letture e innovative interpretazioni dei classici canoni narrativi. 

E Days Gone non fa differenza, offrendo sì agli appassionati una storia, per certi versi, già vista, ma che non si rivela mai noiosa o ripetitiva e che, soprattutto, è molto coinvolgente.

 Fin dalla presentazione dei personaggi principali, si capisce quanto l’approccio degli autori sia diverso rispetto a quanto visto in passato: il protagonista, infatti, è un biker, un motociclista, ex militare ed ex galeotto, ricoperto di tatuaggi e con le mani piene di anelli sgargianti. 

Un duro a tutti gli effetti, uno che si è macchiato anche di atti riprovevoli e che non dovrebbe neppure conoscere il significato di parole come “sentimento” o, ancora peggio, “amore”. 

La forza di Days Gone sta proprio qui, nella volontà di andare oltre l’aspetto fisico dei protagonisti e il loro know how che mai come in queste ultime settimane si sono dimostrati capaci di condizionare il mondo (i tragici fatti di Minneapolis e la morte di George Floyd lo dimostrano). 

Le avventure di Days Gone superano questi limiti tipicamente umani, andando a fondo nei tormenti dei protagonisti e nella loro anima squarciata da ricordi, angosce, rimorsi e speranze. 

Così, piano piano, missione dopo missione, scopriamo che Deacon St. John non è affatto un mascalzone, ma un uomo buono, la cui vita è stata terribilmente segnata dall’esperienza al fronte iracheno, portandolo a scelte delle quali non va più fiero. 

È anche, però, un uomo pieno di speranza e lo è per un solo motivo: perché è innamorato di sua moglie Sarah, una donna che ha provato a salvare, ma di cui non ha più notizie da due anni. 

Tutto lascerebbe pensare che sia morta, che sia entrata a far parte di quell’innumerevole parte del genere umano sterminato dai furiosi. 

Eppure, dentro di sé, Deacon cova e nutre una piccola fiamma di speranza che arde ogni giorno, senza mai spegnersi, perché essere sopravvissuto a un’epidemia che ha devastato il mondo deve pur significare qualcosa, perché fin quando la vita non ci mette davanti alla realtà, le cose possono sempre cambiare.


Nonostante le dinamiche videoludiche di Days Gone seguano il canovaccio classico del viaggio dell’eroe, letto e visto tante volte in libri e film, Bend Studio ci ha regalato una storia pregna di speranza e amore.

Personaggi come “Iron” Mike rappresentano non solo la voglia e il dovere che l’essere umano ha di non arrendersi alle aberrazioni della società, ma anche il bisogno di percorrere una strada che porti a migliorarsi anziché il contrario (come fatto dai Ripugnanti). 

E il viaggio di Deacon è la rappresentazione concreta di questa battaglia, un viaggio durante il quale l’uomo viene messo diverse volte alla prova e a cui vengono dati mille motivi per mollare. Eppure, lui non cede, supera ogni sfida, ogni tortura, ogni trappola, perché la sua missione è dimostrare che la speranza non è mai riposta in vano. Nemmeno in un mondo dominato dai furiosi.


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